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La confessione di Annalisa Cap. 2


di Membro VIP di Annunci69.it Efabilandia
02.05.2025    |    1.440    |    1 9.1
"La scena davanti a lei era un’esplosione di lussuria: il cazzo di Juan, grosso, duro, che scivolava nella bocca di Michela, il suo culo che si alzava e..."
L’odore di salsedine e crema solare mi avvolgeva ogni volta che pensavo ad Annalisa in Spagna, un viaggio che avrebbe dovuto essere solo mare, sole e risate tra amiche, ma che nascondeva un segreto che mi consumava, un fuoco che mi bruciava il petto. Io sono Ferdinando, 31 anni, impiegato tranquillo, con un’ossessione per le storie della mia giovane moglie, Annalisa, 26 anni, guida turistica che catturava ogni sguardo: snella ma formosa, alta 1,65 m, capelli castani che cadevano in onde morbide sulle spalle, occhi verdi che scintillavano di una malizia che mi faceva impazzire, un culo sodo che faceva girare la testa a chiunque, seno pieno che tendeva ogni top, capezzoli sempre duri che sembravano implorare attenzione. Un anno dopo l’evento nel ripostiglio con Marco, l’autista che l’aveva scopata contro il muro, il nostro rapporto era un groviglio di desiderio, sospetto e un’eccitazione perversa che non osavo confessare. Le sue confessioni, il modo in cui descriveva le mani callose di Marco sul suo culo, il sapore salato del suo cazzo nella sua bocca, accendevano in me una gelosia che si trasformava in un’erezione violenta, un segreto che custodivo con vergogna.
Quell’estate, Annalisa decise di prendersi una pausa dal lavoro, due settimane in Spagna con Michela, la sua amica dell’università, 27 anni, single, bionda, alta 1,70 m, con un corpo atletico scolpito da ore di palestra, tette piccole ma sode, un culo tondo che spuntava dai suoi shorts, e un atteggiamento spregiudicato che la rendeva una calamita per gli uomini. Michela aveva occhi azzurri che ti trapassavano, un sorriso che prometteva guai, e una risata che echeggiava come un invito. Prima che Annalisa partisse, scherzando, le dissi: “Visto che Michela è single, puoi fingere di esserlo anche tu.” Lei rise, i capelli castani che le cadevano sul viso, dandomi una pacca sul petto. “Sei scemo, Ferdinando. Sai che faccio la brava,” disse, ma i suoi occhi verdi brillavano di una malizia che mi faceva dubitare, un lampo che mi mandava il sangue al cazzo. “Niente film in testa,” aggiunse, pizzicandomi il fianco, ma io, dentro di me, già la immaginavo in un bikini striminzito, il culo che ondeggiava sotto il sole, mani sconosciute che la sfioravano in un club, risate che nascondevano segreti. Il mio cazzo si induriva al pensiero, un misto di paura, gelosia e un desiderio che non volevo ammettere.
Le due settimane in Spagna furono un’agonia. Annalisa era un’ombra al telefono, i suoi messaggi sporadici, le chiamate brevi, sempre con la scusa di essere stanca o impegnata. “Siamo al mare, tutto ok,” scriveva, o “Siamo uscite a ballare, ti chiamo domani.” Io, solo nel nostro appartamento, mi masturbavo ogni notte, la mente piena di immagini: Annalisa in discoteca, un vestitino corto che le scopriva le cosce, il culo stretto che si muoveva al ritmo della musica, uomini che la guardavano, che la toccavano, un cazzo duro che premeva contro di lei mentre ballava. La gelosia mi stringeva lo stomaco, ma l’eccitazione era più forte, un fuoco che mi consumava, il cazzo che pulsava mentre immaginavo la sua fica bagnata, il suo respiro corto, il piacere che cercava di nascondere. Ogni messaggio che non arrivava era una pugnalata, ogni silenzio un invito a fantasticare, a torturarmi con visioni di lei persa in un piacere che non mi apparteneva.
Quando tornò, la casa si riempì del suo profumo di lavanda misto a salsedine, la pelle abbronzata che brillava sotto la luce del salotto, i capelli castani schiariti dal sole che le cadevano sulle spalle. Indossava un top corto bianco che lasciava intravedere il piercing all’ombelico, un paio di shorts di jeans che le stringevano il culo, e sandali che mettevano in mostra le unghie smaltate di rosso. Si sedette sul divano, le gambe accavallate, un sorriso che era insieme innocente e provocante, e iniziò a raccontare. “Più di qualche palpata o strusciata in discoteca non è successo,” disse, ridendo, gli occhi verdi che mi scrutavano, come se cercasse di capire quanto fossi pronto a credere. “Ho fatto la brava, Ferdinando, tranquillo.” Ma poi, con un sorrisetto malizioso, aggiunse: “Un paio di volte, però, ho sentito il cazzo di un tipo dietro di me, bello in tiro, sostanzioso.” Le sue parole mi colpirono come un fulmine, il cazzo che si induriva nei pantaloni, il cuore che martellava. “Mi ha fatto vacillare, lo ammetto,” confessò, mordendosi il labbro, “ma Michela sa che sono fidanzata. Avrei fatto una pessima figura se avessi combinato qualcosa con lei davanti.”
Il suo racconto era un’esca, un gioco che mi eccitava e mi tormentava. Le sue parole, il modo in cui descriveva quel cazzo “sostanzioso” contro il suo culo, accendevano un fuoco dentro di me. Le credevo, ma il sospetto mi divorava, un nodo che mi stringeva lo stomaco. La immaginavo in un club, il vestitino alzato, mani sconosciute che le palpavano il culo, il suo respiro che si spezzava, la fica che si bagnava sotto il perizoma. Ogni volta che ci ripensavo, il cazzo mi pulsava, e durante le nostre notti di sesso, mentre la scopavo, le chiedevo di raccontarmi di più, di dirmi se aveva fatto altro, ma lei rideva, evasiva, lasciando cadere dettagli che alimentavano la mia ossessione. Anni dopo, in una notte di confidenze, con il vino rosso che ci scioglieva le inibizioni, i nostri corpi nudi intrecciati sotto le lenzuola, Annalisa confessò la verità, e ogni parola fu un’esplosione di lussuria che mi travolse, un racconto che mi fece venire solo a sentirlo.
Era la loro seconda settimana in Spagna, a Lloret de Mar, un paradiso di spiagge dorate, bar affollati e notti che non finivano mai. Annalisa e Michela, inseparabili, passavano le giornate al mare, i bikini striminziti che lasciavano poco all’immaginazione, il sole che scaldava la loro pelle, l’odore di crema solare e salsedine che le avvolgeva. Le sere erano un vortice di discoteche, luci stroboscopiche, musica techno che pulsava come un cuore, corpi sudati che si sfioravano in piste affollate. Quella notte, in un club chiamato Eclipse, l’aria era densa di sudore, tequila e desiderio, un calore che si appiccicava alla pelle. Annalisa indossava un vestitino bianco aderente, corto fino a metà coscia, che le stringeva il culo e lasciava intravedere il perizoma nero ogni volta che si piegava. Niente reggiseno, i capezzoli duri visibili sotto il tessuto sottile, sandali con tacco che le slanciavano le gambe. Michela, al suo fianco, sfoggiava un top nero scollato che le scopriva l’ombelico, shorts di jeans che le modellavano il culo, capelli biondi sciolti che ondeggiavano a ogni movimento, un sorriso che invitava guai.
Ballavano al centro della pista, i corpi che si muovevano al ritmo di una traccia techno profonda, i bassi che vibravano nel petto, le luci che danzavano sulla loro pelle abbronzata. Annalisa sentiva gli occhi degli uomini su di lei, sguardi che le accarezzavano il culo, il seno, le cosce, un’attenzione che la faceva sentire viva, potente. Un ragazzo spagnolo, Juan, 28 anni, moro, alto 1,85 m, muscoloso, con occhi scuri che sembravano scavarle l’anima, si avvicinò. Indossava una camicia bianca sbottonata sul petto, jeans stretti che non nascondevano il rigonfiamento del cazzo, un ghigno da predatore che prometteva piacere. Si mise a ballare dietro Annalisa, le mani che sfioravano i suoi fianchi, il cazzo duro che premeva contro il suo culo, un calore che le attraversava la pelle come una scarica elettrica. “¡Joder, qué culo!” mormorò Juan, la voce roca, il fiato caldo sul suo collo. Annalisa, il respiro corto, sentì la fica bagnarsi sotto il perizoma nero, il tessuto fradicio che le aderiva alle grandi labbra. Ogni movimento di Juan era un invito, ogni pressione un’onda di desiderio che la faceva vacillare, ma si trattenne, ricordando Michela e la sua promessa a Ferdinando.
Michela, però, aveva visto tutto. Notò il modo in cui Juan si toccava il cazzo attraverso i jeans, eccitato, gli occhi fissi sul culo di Annalisa, il desiderio che gli bruciava dentro. Con un sorriso malizioso, si avvicinò a lui, sussurrandogli qualcosa all’orecchio, un piano che Annalisa non poteva immaginare. “¡Ven con nosotras!” gli disse, la voce bassa, e Juan, con un cenno, accettò, il cazzo che pulsava nei pantaloni. Annalisa, ignara, continuò a ballare, il sudore che le colava lungo la schiena, l’odore di muschio e tequila che le riempiva i sensi, il cuore che batteva al ritmo della musica. Quando lasciarono il club, l’aria fresca della notte le accarezzò la pelle, ma il calore dentro di lei non si spegneva, un desiderio che cercava di ignorare.
Tornate in hotel, una struttura moderna con vista sul mare, le pareti bianche illuminate da luci soffuse, Michela convinse Annalisa a bere un ultimo drink in camera. “Solo noi due, dai,” disse, versando della sangria in due bicchieri, l’odore dolce della frutta che si mescolava al vino. Annalisa, rilassata, si sedette sul letto, il vestitino bianco che le saliva sulle cosce, il perizoma nero visibile, la fica ancora bagnata che pulsava al ricordo di Juan. Michela, con un sorriso, aprì la porta, e Juan entrò, sedendosi sul letto, la camicia aperta che mostrava il petto scolpito, i jeans che stringevano il cazzo duro, l’odore muschiato del suo corpo che saturava l’aria. Annalisa si bloccò, il cuore che esplodeva, un misto di imbarazzo, rabbia e un’eccitazione che non voleva ammettere. “Michela, che cazzo fai?” sibilò, la voce che tremava, ma Michela, ridendo, chiuse la porta con un clic. “Rilassati, Annalisa. È solo un gioco,” disse, gli occhi azzurri che brillavano di malizia.
Michela si inginocchiò davanti a Juan, slacciandogli i jeans con dita rapide, il cazzo che svettava libero, grosso, lungo, con vene pulsanti e una punta bagnata che brillava sotto la luce della lampada. L’odore muschiato, salato, riempì la stanza, un invito che fece pulsare la fica di Annalisa, il perizoma ormai zuppo. Michela lo prese in bocca, succhiando con forza, la lingua che scivolava sulla cappella, le labbra che si stringevano attorno all’asta, il suono bagnato che echeggiava, i gemiti di Juan che si mescolavano al ronzio dell’aria condizionata. “¡Joder, qué bueno!” ringhiò lui, le mani nei capelli biondi di Michela, spingendola più a fondo, la gola che si riempiva. Annalisa, immobile, sentiva il cuore martellare, la fica che pulsava, il desiderio che combatteva con l’imbarazzo, un nodo in gola che le impediva di parlare. La scena davanti a lei era un’esplosione di lussuria: il cazzo di Juan, grosso, duro, che scivolava nella bocca di Michela, il suo culo che si alzava e abbassava, il top nero che le era scivolato, rivelando i capezzoli duri.
“Vieni, Annalisa,” disse Michela, la voce roca, il mento bagnato di saliva, tirandola per la mano. “Non fare la santarella, lo so che lo vuoi.” Annalisa, rossa in viso, il respiro corto, si inginocchiò, il cuore che esplodeva, la vergogna che si scioglieva in un desiderio bruciante. Prese il cazzo di Juan, il calore che le scottava la mano, il sapore salato e muschiato che le riempiva la bocca quando lo succhiò, la punta che premeva contro la lingua, il rossetto rosso che si mescolava alla saliva. Superato l’imbarazzo, la porca che era in lei esplose. Succhiava con fame, la gola che si riempiva, le palle che le sbattevano sul mento, il suono bagnato che si mescolava ai gemiti di Juan. “¡Dios, qué boca!” ringhiò lui, le mani nei suoi capelli castani che la guidavano, il cazzo che pulsava, il pre-sperma che le colava sulla lingua.
Michela, nuda, il top e gli shorts a terra, si masturbava accanto a loro, le dita che entravano e uscivano dalla fica depilata, il clitoride gonfio che brillava di umori, i gemiti che si trasformavano in urla. Si alzò, spingendo Juan sul letto, il materasso che cigolava, e si impalò sul suo cazzo, cavalcando con una furia animalesca, il culo tondo che sbatteva contro le sue cosce, il suono della carne che echeggiava. “¡Joder, me vas a matar!” urlò Juan, le mani sulle sue tette, pizzicando i capezzoli, mentre Michela, persa, gridava: “Cazzo, è enorme!” Il primo orgasmo la travolse, uno squirt violento che inzuppava il letto, schizzi caldi che colavano sulle lenzuola, il suo urlo che si spezzava, il corpo che vibrava, le cosce che tremavano. Si girò, offrendo il culo, le mani che allargavano le natiche, e Juan, lubrificando con il gel dalla borsa di Michela, la inculò, il cazzo che scivolava nel buco stretto, ogni colpo che la devastava, il dolore che si trasformava in piacere. “¡Fóllame duro!” implorò Michela, il secondo orgasmo che esplodeva, un altro squirt che schizzava sul pavimento, una pozza di liquido caldo che si allargava sotto di lei, il suo corpo che si inarcava, le unghie che graffiavano il letto.
Annalisa, eccitata, il cuore che martellava, si spogliò, il vestitino bianco che cadeva a terra come un velo, il perizoma nero strappato con un gesto rapido, l’odore muschiato della sua fica che saturava l’aria. “Fallo anche a me,” sussurrò, la voce rotta dal desiderio, inginocchiandosi sul letto, il culo offerto, le mani che tremavano mentre si appoggiava al materasso. Juan, con un sorriso, versò il gel sul suo buco stretto, il freddo che la fece rabbrividire, poi spinse, il cazzo che la penetrava, un dolore bruciante che si trasformava in un piacere devastante. “¡Qué culo tan apretado!” ringhiò, il cazzo che affondava, ogni colpo che la faceva urlare, il buco che si contraeva, un calore che la consumava. La sensazione era intensa, il cazzo che la riempiva, ogni affondo che sembrava spaccarla, la carne che bruciava, il piacere che esplodeva. “Cazzo, sfondami!” urlò Annalisa, le cosce che tremavano, il clitoride che pulsava sotto le sue dita, il primo orgasmo che la travolgeva, uno squirt violento che inzuppava il letto, schizzi caldi che colavano sulle lenzuola, il suo urlo che si spezzava, il corpo che si inarcava, le unghie che graffiavano il materasso. Ogni colpo di Juan era un’esplosione, il cazzo che la devastava, il buco che si allargava, il piacere che la mandava in estasi, un misto di dolore e godimento che la faceva tremare.
Juan indossò un preservativo, il lattice che scivolava sul cazzo, e la scopò nella fica, il cazzo che affondava fino all’utero, ogni colpo che la spaccava, la carne che sbatteva, il suono bagnato che si mescolava ai gemiti. “¡Te voy a romper!” ruggì Juan, le mani che le stringevano i fianchi, ogni affondo che la faceva urlare, la fica che lo avvolgeva, un calore bagnato che lo risucchiava. “Cazzo, sì, sfondami!” urlò Annalisa, il clitoride che pulsava sotto le sue dita, il secondo orgasmo che esplodeva, uno squirt che schizzava sul pavimento, un lago di liquido caldo che si allargava sotto di lei, il suo urlo che echeggiava, il corpo che vibrava, le gambe che cedevano. La sensazione era travolgente, il cazzo che la riempiva, ogni colpo che la devastava, la fica che si contraeva, il piacere che la consumava, un’onda che non si fermava.
Michela, accanto, si fece scopare nella fica, il preservativo che scivolava nel calore bagnato, ogni affondo che la faceva urlare, il cazzo che la spaccava, la carne che sbatteva, il suono bagnato che si mescolava ai suoi gemiti. “¡Dame más, cabrón!” gridò, le mani sul petto di Juan, il terzo orgasmo che la travolgeva, un altro squirt che inzuppava il letto, schizzi che colavano sulle cosce di Juan, il suo gemito che si trasformava in un singhiozzo di piacere. La stanza era un caos di lussuria, odori di muschio, sborra e sudore, gemiti che si intrecciavano, il suono bagnato che riempiva l’aria, il letto che cigolava come se stesse per cedere. Ogni penetrazione era un’esplosione, il cazzo di Juan che devastava le loro fiche, i buchi che si allargavano, il piacere che le consumava, un ritmo brutale che le mandava in estasi.
Juan, al limite, si tolse il preservativo, il cazzo che pulsava, e venne sullo stomaco e sulla fica di Michela, fiotti caldi che le colavano sulla pelle, l’odore salato che saturava l’aria, schizzi che brillavano sotto la luce della lampada. “¡Joder, qué bueno!” ringhiò, il corpo che tremava, la sborra che colava sulla fica depilata di Michela, il clitoride che brillava. Michela, ansimando, si toccava, spargendo la sborra sulla fica, i gemiti che si spegnevano. Annalisa, inginocchiata, pulì il cazzo di Juan, la lingua che leccava la sborra, il sapore salato e denso che le riempiva la bocca, il calore che la marchiava, il suo respiro corto mentre lo succhiava, gli occhi verdi che brillavano di lussuria.
Michela, con un sorriso malizioso, si alzò, posizionandosi sulla faccia di Annalisa, le cosce aperte, la fica bagnata di sborra e squirt che sfiorava le sue labbra. “Léccami, Annalisa, límpiame,” ordinò, la voce roca, il clitoride gonfio che pulsava. Annalisa, sorpresa, esitò, il cuore che martellava, ma l’odore muschiato della fica di Michela, il calore che emanava, la travolsero. Leccò, la lingua che esplorava le grandi labbra, il sapore salato della sborra misto al gusto dolce e intenso della fica, un’esplosione di lussuria che la faceva gemere, le mani che afferravano le cosce di Michela, tirandola più vicino. Michela, cavalcando il suo viso, si toccava il clitoride, i gemiti che si trasformavano in urla, il quarto orgasmo che esplodeva, uno squirt violento che le inondava la bocca, schizzi caldi che le colavano sul mento, il suo urlo che echeggiava, il corpo che vibrava. Juan, inginocchiato, leccò la fica di Annalisa, la lingua che scivolava sul clitoride, succhiandolo con forza, facendola venire, un terzo orgasmo che la scuoteva, uno squirt che bagnava il letto, il liquido che colava sulle cosce, il suo gemito soffocato contro la fica di Michela, le gambe che tremavano.
Nel silenzio che seguì, la stanza odorava di sesso, sudore e sborra, il letto inzuppato, il pavimento un lago di squirt. Michela si chinò, il viso vicino a quello di Annalisa, i capelli biondi che le sfioravano le guance. La baciò sulle labbra, un bacio lento, passionale, le lingue che si intrecciavano, il sapore di sborra, squirt e desiderio che le univa, un’esplosione di complicità che le faceva tremare. “Eres increíble, Annalisa,” sussurrò Michela, gli occhi azzurri che brillavano, e Annalisa, persa, sorrise, il cuore che batteva, un segreto che avrebbe portato con sé per sempre, un fuoco che non si sarebbe mai spento.
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